Il termine crowdsourcing è un neologismo che definisce un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un prodotto ad un insieme distribuito di persone non già organizzate in una comunità virtuale. Questo processo avviene attraverso degli strumenti web o comunque dei portali su internet. Inizialmente il crowdsourcing si basava sul lavoro di volontari ed appassionati che dedicavano il loro tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. Oggi il crowdsourcing rappresenta per le aziende un nuovo modello di open enterprise e per i freelance la possibilità di offrire i propri servizi su un mercato globale. Per capire meglio questo concetto facciamo un esempio pratico: una città decide di indire un contest di un logo per un progetto pubblico e così chiede a dei designers di contribuire con un loro lavoro. Una volta presentato il progetto, sarà istituita una commissione con il compito di giudicare tutti i lavori e scegliere il logo vincitore. Da quel momento in poi la città acquisirà i diritti del logo a titolo gratuito e al designer non sarà assegnato nessun premio in denaro, se non una citazione onorevole e, forse, un riconoscimento pubblico per l’opera svolta! Ora, come si può leggere nei vari blog di design, non tutti i designers sono favorevoli al crowdsourcing! Per 2 motivi principali:
Svilisce il lavoro del designer
Le aziende avranno molte proposte progettuali tra cui scegliere, senza dimenticare che saranno acquisite a titolo gratuito. Mentre tutti i designers che avranno presentato le proposte “perdenti”, non saranno ripagati per il tempo e la creatività spesa per realizzare i lavori!
Diminuisce la quantità di lavoro disponibile
Gran parte dei freelancers è alla ricerca costante di lavoro. Così quando entra in campo il crowdsourcing, che consente alle aziende di non pagare per i lavori di design, lascia automaticamente i freelancers a dover “lottare” per la sopravvivenza con un minor numero di clienti.
Quindi, alla luce di tutto ciò, cosa bisogna pensare del crowdsourcing? Dipende……
Ho avuto la fortuna (e l’onore!) di conoscere bene il mondo delle associazioni no-profit, con pochi soldi a disposizione e gestite interamente da volontari che con passione e sacrificio offrono il loro tempo e il loro lavoro per il bene della comunità. Spesso queste organizzazioni tengono dei contest per una t-shirt, un logo o un poster: i designers presenteranno le loro proposte creative e si sceglierà poi un vincitore. L’organizzazione avrà il suo logo gratuitamente e il designer la gloria e la pubblicità che ne derivano. Questo va bene? La mia sensazione è che le società senza scopo di lucro non sfruttino i designers, visto che già saranno a conoscenza della scarsità di mezzi economici a disposizione! Quindi in questo caso il designer, presta volentieri il suo lavoro a titolo gratuito per il solo fatto di fare una buona azione e del ritorno di immagine che ne avrà.